Cristiani e musulmani in carcere

di Pomes/Il carcere, come tutti i luoghi in cui la sofferenza umana assume una valenza centrale, acquisisce un’importanza rilevante l’incontro con la religione.
E’ proprio nei momenti del bisogno che ci si rivolge all’entità superiore perché possa aiutarci a realizzare tutti i nostri desiderata e lo scorrere lento del tempo offre maggiori opportunità di riflessione tanto introspettiva quanto spirituale.
Un percorso che tutti compiono, nei modi e nelle maniere più disparate, ma che comunque ha un solo filo comune denominatore: quello di chiedere al Padre un aiuto.
Alcune espressioni nell’intercalare comune, le preghiere quotidiane, la frequentazione dei luoghi di culto, le immaginette sacre che arredano le celle sono i segni concreto della dimensione spirituale in questa esperienza così dura.

Le carceri negli ultimi anni sono il riflesso amplificato delle dinamiche che attraversano la società: di conseguenza anche qui, come all’esterno, il problema dell’incontro- scontro delle differenti etnie e delle relative religioni è di grande attualità.
Le due religioni che più delle altre si confrontano sono quella cattolica e quella islamica, essendo le più praticate (oltre il 95%), in considerazione della provenienza dei detenuti.
Obiettivo perseguito con tenacia e costanza dal cardinale Zuppi è stato sempre quello di un dialogo interreligioso serrato e un’integrazione completa che, seppur lontana dal realizzarsi completamente, resta per noi cattolici prioritaria.
Certamente anche nelle manifestazioni esteriori le due differenti religioni presentano tratti per molti versi differenti e che non possiamo non evidenziare.

La comunità islamica ha dei momenti di preghiera durante la giornata che sono anticipati dal richiamo cantato da un detenuto e ciò certamente non passa inosservato. Altro rito che colpisce è la fila che si crea per il lavaggio che precede la preghiera. L’esteriorità della religiosità ha anche un effetto domino non secondario su tutti i “paesani” che non possono rimanere indifferenti e che quindi vengono necessariamente coinvolti. La stessa cosa avviene durante il periodo di Ramadan, a cui tutti i detenuti musulmani indistintamente partecipano. In un contesto che spersonalizza, il valore identitario della religione, a prescindere dalla fede, è un collante potente.

Differente è l’approccio alla religione di noi cattolici, molto più laico e in taluni casi apparentemente disinteressato. Credo che molti in un modo o nell’altro preghino e si rivolgano al Signore, ma lo fanno talvolta nel silenzio delle proprie celle e senza voler apparire a tutti i costi. L’atteggiamento distaccato porta in Chiesa un numero esiguo di detenuti di fede cattolica e ancor meno nei gruppi di approfondimento del Vangelo. Non per mancanza di fede, ma perché il nostro Dio misericordioso è sempre pronto a perdonare e offre sempre nuove opportunità.

Comunque al momento alla Dozza la convivenza le differenti fedi religiose è improntato al massimo rispetto personale e alla pacifica discussione, come opportunità di crescita reciproca. Le discussioni sono anche animate, ma sono per lo più costruttive e rispettose delle differenti culture ed esperienze.
Il confronto fra religioni è stimolante e dovrebbe a mio parere essere approfondito, perché la comune ricerca di Dio, sia che si parli di Maometto o di Gesù, ci può aiutare a camminare insieme, a migliorare come persone e a sentirci fratelli.