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di Amedeo Gagliardi / Ore 11.30 di ieri, un assistente penitenziario, al mio rientro dalla biblioteca, mi ferma e mi chiede se voglio partecipare a qualcosa che ha a che fare con il teatro, senza sapermi specificare bene cosa. Il teatro è una delle mie passioni e competenze, per cui aderisco con entusiasmo e immediatezza, senza nemmeno approfondire di cosa si tratti; mi viene, quindi, sottoposto un modulo da compilare e sottoscrivere per l’autorizzazione all’uso dell’immagine, cosa che prontamente eseguo.

Alle 18 vengo portato, assieme a tutti gli altri detenuti aderenti, presso l’area esterna della sala cinema. Ad accoglierci, con piacevolissima sorpresa, c’è lui, il mago delle parole, Alessandro Bergonzoni, comico bolognese dell’assurdo, nell’ambito di una rassegna estiva organizzata dalla direzione. Con una disponibilità disarmante, ci accoglie all’ingresso e stringe la mano ad ognuno di noi, e subito intuisci che il suo non sarà soltanto uno spettacolo. La direttrice, Rosalba Casella, apre la serata con i convenevoli e i ringraziamenti di rito, in particolare allo stesso Bergonzoni, al quale non sfugge un passaggio che riprenderà in chiusura. Sul protagonista dell’evento non c’è molto da scoprire; Bergonzoni preserva un cliché consolidato ed efficace fin dai tempi del “Maurizio Costanzo Show”, dove lui era ancora esordiente ed io lo seguivo già con particolare interesse; egli sviluppa i temi comici utilizzando l’assurdo, il rifiuto del reale e la straordinaria capacità di giocare con il linguaggio, per creare e mettere in luce situazioni surreali e paradossali; in questo è un gigante dell’eloquio, attraverso l’uso del quale riesce contestualmente e con rara efficacia a far ridere e riflettere come solo lui sa fare.

Il comico sale sul palco ed è subito un scroscio di applausi, ai quali risponde con una parola quanto mai appropriata, “grazia” (in luogo di grazie), e parte subito un altro applauso. Ma la platea non è ancora allineata alla sua verve, lui se ne avvede e parte in sordina con una prima parte di repertorio che risalta ancora i canoni del political correct; passeggia a destra e a sinistra e nel mentre esclama “passeggio in uno spazio ristretto, so che lo fate anche voi”, e giù un altro applauso.
L’atmosfera inizia a scaldarsi e così, dopo la lunga lettura di un copione di freddure paradossali, che suscitano risate più o meno convinte di persone inizialmente distratte, Bergonzoni, complice lo svolazzamento dei fogli dovuto al vento, offre il meglio di sé. Comincia ad andare a braccio e il suo diventa un crescente j’accuse, sottile e ficcante, del peggio di ciò che vive un carcerato.

“Il mio sport preferito è il lancio della chiave, cioè quello di restituire la chiave” asserisce, in risposta a coloro i quali ostentano pedissequamente la frase “occorre buttare via la chiave!”, e ancora “Un altro sport che vorrei coltivare è il lancio del martello, cioè prima si lancia un chiodo, poi il martello per impiantarlo nel muro e poi il quadro”, la giusta parodia di come riuscire a inculcare nella cultura delle persone che vivono all’esterno, come spesso abbiamo scritto anche noi a giornalismo, che il carcere non deve essere considerato la discarica della società, perché ne è esattamente il suo specchio; ad un tratto si sente il grido di un detenuto che staziona aldilà del muro di cinta di un’altra sezione e ciò consente al comico una digressione “adoro queste voci, se uno chiama io rispondo…forse si tratta di uno che voleva essere invitato ed al quale non è stato consentito di esserci” e scatta un ennesimo applauso. Ma le bombe dialettiche del comico diventano ancora più esplosive quando, giocando con le parole, esclama “Un magistrato che, senza mai essere stato in una cella, condanna una persona all’ergastolo commette un genio-cidio, perché uccide il genio di quella persona per sempre” e l’applauso diventa maggiormente fragoroso; l’artista si esalta, comprende che ha toccato il nervo scoperto delle due estremità del pubblico e rincara la dose, parlando alla pancia della sala e lasciandosi andare a una pericolosa provocazione “se mi avessero vessato avrei bruciato anch’io dei materassi”, il boato eccitato di alcuni detenuti lo costringe a mitigare la sua frase, riportando così la calma.

Ma sul finale non riesce a trattenere la risposta alla direttrice serbata dall’inizio e si lascia andare a una raccomandazione, accompagnata dal dito puntato “Vede direttrice, quello che ha fatto stasera non è un favore, ma un diritto, se lo ricordi, un diritto, come l’acqua, la luce ed il gas” e, a quel punto, i carcerati scattano in piedi, la standing ovation al grido di “bravo-bravo!” è liberatoria e commovente, tanto da indurre per una volta, un’incantevole volta, a non sentirsi esclusi.

Applausi, sipario, si torna in cella…buio.