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di Fabrizio Pomes / Il lavoro è un elemento fondamentale nel percorso di rieducazione dei detenuti non in vista del loro rientro nella società, ma anche per l’accesso ai benefici penitenziari previsti dalla legge. E’ un elemento centrale, ma è anche una risorsa scarsa. In questo ambito il Terzo Settore può svolgere un ruolo decisivo; fra le tante realtà che operano per supplire a questa grave carenza del sistema, ricordo ad esempio “Seconda Chance” di Flavia Filippi, giornalista della 7. Sfruttando le agevolazioni economiche della legge Smuraglia, che prevede incentivi per le imprese che assumono detenuti, l’associazione ha aperto nuove strade per la collaborazione tra il settore penitenziario e quello produttivo. Con ogni detenuto che torna a una vita produttiva, la società fa un passo avanti verso la riduzione della criminalità e il miglioramento della coesione sociale.
Il lavoro, infatti, non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere; è anche uno strumento essenziale per la socializzazione, l’autostima e la riduzione del rischio di recidiva. Per i detenuti, avere un impiego può significare la differenza tra un reinserimento riuscito nella società e il ritorno in carcere…

Le organizzazioni del Terzo Settore hanno a mio parere la potenzialità di colmare i vuoti del settore pubblico e privato, soprattutto in ambiti complessi come quello penitenziario. Mobilitando risorse, competenze e reti, il Terzo Settore può innovare e implementare programmi di lavoro efficaci all’interno delle carceri..
Investire nella creazione e nel supporto di programmi lavorativi per detenuti è un’urgenza: è essenziale, da parte del Terzo Settore, sviluppare partenariati strategici con il settore privato, il governo e le istituzioni penitenziarie per creare percorsi di lavoro sostenibili. Questo richiede un impegno a lungo termine e una collaborazione trasversale per assicurare che i programmi non solo si avviino, ma che siano anche efficaci.
Il lavoro quindi è una chiave per la libertà e un pilastro della dignità umana. Con un impegno collettivo e una visione condivisa, credo sia possibile trasformare il sistema penitenziario in un ambiente di vera rieducazione e reinserimento. La società nel suo insieme ne beneficerà, con una riduzione delle tensioni sociali e una promozione dell’inclusione e della giustizia.

Il carcere bolognese della Dozza rappresenta un microcosmo delle sfide e delle opportunità che caratterizzano il sistema penitenziario italiano. E in questo microcosmo è fondamentale l’impegno della direzione dell’istituto nel promuovere e sostenere le esperienze già attive e quelle che possono nascere. Questo implica non solo l’approvazione dei progetti e dei programmi, ma anche l’assicurazione che le infrastrutture, le risorse e le politiche interne siano allineate con gli obiettivi di reintegrazione lavorativa. La collaborazione tra l’istituzione e il Terzo Settore può trasformare le politiche in pratiche efficaci, che favoriscono il lavoro e la formazione professionale all’interno delle mura carcerarie.
Questa, a mio parere, è la via migliore per migliorare le prospettive di chi è in carcere, e per rafforzare la sicurezza e la coesione sociale, promuovendo una giustizia penale più umana ed efficace.

Ma anche questo non basta. Occorre anche la partecipazione attiva degli attori non protagonisti. Già in passato in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale di Bologna la redazione di Ne Vale la pena aveva sollecitato anche sulle tematiche del lavoro il Sindaco Lepore con una lettera aperta.
L’amministrazione comunale, infatti, ha il potenziale di giocare un ruolo decisivo nella promozione dell’integrazione lavorativa dei detenuti. Attraverso politiche mirate e sostegni concreti alle cooperative sociali che assumono detenuti, il governo locale può contribuire significativamente alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti. Sarebbe utile capire, ad esempio, se è possibile favorire, nell’assegnazione degli appalti, quelle organizzazioni che dimostrano un impegno concreto nell’assunzione di detenuti o ex detenuti, e quale ruolo possa giocare l’amministrazione comunale nel supportare programmi di formazione e certificazione che possano aumentare l’employability dei detenuti, lavorando in partnership con istituzioni educative e organizzazioni del Terzo Settore.
Ma al di là di tutto occorre superare ostacoli che vengono da lontano e che sono frutto di pregiudizi e di percezioni errate da parte della società civile.

Nonostante il crescente riconoscimento del valore della reintegrazione lavorativa dei detenuti, le interazioni tra le forze di polizia e il mondo imprenditoriale possono talvolta presentarsi come un ostacolo piuttosto che come un sostegno a questo processo. Questa situazione può derivare da percezioni e pregiudizi radicati che vedono gli ex detenuti più come rischi che come risorse potenziali per la comunità.
I controlli delle forze di polizia sui luoghi di lavoro, soprattutto se effettuati con modalità invasive e poco rispettose della riservatezza, possono infatti influenzare involontariamente le percezioni degli imprenditori nei confronti dell’assunzione di ex detenuti. Alcune preoccupazioni comuni tra gli imprenditori sono che l’assunzione di ex detenuti possa portare a problemi all’interno dell’azienda, o che associare il proprio brand con ex detenuti possa danneggiare la loro immagine pubblica . Il pregiudizio sociale nei confronti dei detenuti e degli ex detenuti è una delle principali barriere all’integrazione lavorativa di queste persone. Superare questi pregiudizi è essenziale per promuovere una società più inclusiva e giusta.
Il pregiudizio sociale si radica spesso nella paura e nella mancanza di conoscenza. Le percezioni negative sono alimentate da stereotipi e storie sensazionalistiche che non riflettono la realtà della maggior parte delle persone che hanno scontato pene detentive.
Lo sforzo che compiamo giornalmente come redazione giornalistica è finalizzato ad informare correttamente per far si che nel processo di risocializzazione, così fortemente voluto dai nostri padri costituenti, il vero assente non sia proprio il LAVORO.